5 consigli essenziali per dominare la carta dei vini al ristorante
La carta dei vini non è un test di pronuncia o di status sociale. È un’opportunità. Un invito a scegliere con attenzione, magari a sperimentare. Il punto non è sapere tutto, ma sapere cosa ci piace, perché ci piace e come comunicarlo. Ecco i cinque consigli fondamentali per affrontare la carta dei vini con sicurezza, curiosità e un pizzico di strategia ma soprattutto abbattendo notevolmente il margine di errore e di conseguenza la possibilità di rovinare l’esperienza gustativa. Seguici nelle prossime righe!

Scegliere il vino giusto | Photocredits © Become Somm
1. Non farti guidare solo dal nome dell’uva. Parti dal territorio.
Ordinare “uno Chardonnay” o “un Cannonau” è come entrare in libreria chiedendo “un romanzo d’amore”. Troppo vago. Il contesto — ovvero il territorio — cambia tutto. Un Pinot Nero dell’Alto Adige non ha lo stesso profilo di uno della Borgogna, della Nuova Zelanda o, per rimanere nel contesto italiano, dell’Oltrepò Pavese. Il terreno, il clima, le mani che lo producono fanno la vera differenza, tanta differenza.
Cosa fare? Invece di cercare solo il vitigno che conosci, guarda da dove arriva il vino. Le regioni meno inflazionate — come il Jura, la Sierra de Gredos, il Sannio — sono spesso più oneste nei prezzi e più ricche di carattere. E ordinare un vino “di zona” dimostra attenzione e rispetto per la provenienza di origine, che garantisce nella maggior parte dei casi una buona declinazione territoriale.
2. I vini al bicchiere sono una lente sulla filosofia del locale.
I vini al bicchiere non sono solo una scorciatoia per chi non vuole prendere la bottiglia. Sono una vetrina: raccontano cosa il ristorante vuole proporre, promuovere o far scoprire. Se nella lista trovi solo nomi noti e vitigni commerciali, probabilmente la proposta è pensata per non rischiare. Ma se c’è un Verdese, un Tannat o uno Xinomavro, forse dietro c’è un sommelier che ama osare e sperimentare il gusto dei commensali.
Cosa fare? Usa la lista BTG (by the glass) come punto di partenza. Fatti incuriosire. Se leggi qualcosa di nuovo, chiedi: “Cosa ti ha convinto a metterlo al bicchiere?” Spesso riceverai una risposta appassionata e — se va bene — anche un assaggio in omaggio di quella stessa etichetta!
3. Condividi cosa ti piace, non solo quanto vuoi spendere.
Molti si sentono a disagio a dichiarare un budget. Eppure, per un sommelier, è l’informazione più preziosa. Dire “mi piace un rosso fruttato, sui 40-50 euro” aiuta molto di più che dire “consigliami tu”. Ma anche oltre al budget, è utile parlare di sensazioni: “non voglio qualcosa di troppo tannico”, “cerco un bianco minerale ma non troppo acido”, “vorrei qualcosa che tenga compagnia per tutta la cena” oppure un prodotto che si presti in maniera esemplare con piatti più o meno consistenti.
Cosa fare? Non devi avere il linguaggio tecnico. Usa emozioni, ricordi, piatti che ti sono piaciuti. E dai al sommelier uno spazio chiaro in cui muoversi. Ricorda: la sua missione non è venderti la bottiglia più cara, ma fornirti un’esperienza culinaria davvero indimenticabile.
4. Ordinare lo stesso vino in due? Forse è meglio una bottiglia.
La matematica non è un’opinione: se in due ordinate lo stesso vino al calice, il costo equivale spesso a quello di una bottiglia intera nella maggior parte dei casi, stessa bottiglia che è possibile portare a casa in quasi tutti i ristoranti del mondo. Ma con la bottiglia ottieni qualche bicchiere in più, più controllo sulla temperatura di servizio, e spesso una qualità leggermente superiore. Inoltre, aprire una bottiglia ha qualcosa di rituale, di condiviso, che arricchisce l’esperienza a tavola e che la rende tanto sacra quanto ricercata.
Cosa fare? Non aspettare il secondo giro per decidere. Se sapete già di volere lo stesso vino, fatevi un favore: ordinate la bottiglia. E se non la finite, chiedete una doggy bag: come già anticipato, oggi è una pratica comune e assolutamente accettata e condivisa.
5. Va bene le regole d’abbinamento, ma segui anche il gusto.
“Rosso con carne, bianco con pesce” è una scorciatoia, non una legge scritta. È molto meglio un abbinamento imperfetto ma appagante e gratificante, che uno tecnicamente corretto ma che non ti dà piacere. Il vino è personale, e il tuo palato ha sempre ragione, in qualsiasi circostanza.
Cosa fare? Se stai ordinando piatti diversi, scegli un vino che “leghi” tutto con equilibrio e armonia. Ad esempio, un rosato strutturato, uno Champagne brut nature, un rosso non troppo tannico. Ma se stai mangiando qualcosa di particolare e hai un vino che ami, lascia perdere le regole: scegli quello che ti fa stare bene. La coerenza non è il punto. Il piacere sì e, inoltre, essere sempre tecnici può diventare anche stancante alla lunga.
Conclusione
Per molti, l’arrivo della carta dei vini al tavolo è un momento di silenziosa tensione. Si abbassa lo sguardo, si cerca in fretta qualcosa di familiare, si teme di sbagliare. È un’ansia diffusa, spesso ingiustificata, che nasce dal timore di non sapere abbastanza, di sembrare fuori posto, di deludere le aspettative (proprie o altrui).
Ma la verità è che non c’è nulla da temere.
La carta dei vini non è un test. Non è un quiz a tempo. È uno strumento. È una porta. È un’occasione.
Un’occasione per scoprire qualcosa che non conosci, per parlare con chi ne sa di più, per allenare il gusto e la consapevolezza. In un mondo in cui il vino è spesso percepito come elitario, gestire con serenità una carta dei vini è un atto di emancipazione culturale. È dire: “non devo sapere tutto per poter scegliere bene”. È scegliere di essere presenti, curiosi, aperti.
Quando impari a leggere la carta senza ansia ma con metodo — magari usando i cinque consigli che hai appena letto — non solo ordini meglio: ti relazioni meglio al mondo del vino. Scopri che non esiste una scelta perfetta, ma solo quella giusta per te, in quel momento.